di Monica Micheli*
Kinbaku, corde che toccano l’anima
Grazie anche al successo della saga di 50 sfumature, il bondage è una delle pratiche erotiche che senza dubbio hanno riscosso un’attenzione crescente negli ultimi anni.
Ne abbiamo parlato diffusamente in questo articolo.
E’ vero altresì che un concetto così ricco di storia, derivante dall’arte giapponese dello shibari e del kinbaku, rischia di vedersi banalizzato o mal compreso, se diffuso in maniera non corretta.
Approfondiamo l’argomento con Andrea, ideatore e rope artist de “La Quarta Corda“, uno dei maggiori studi italiani dedicati al bondage giapponese.
Andrea, secondo la tua esperienza chi si avvicina a questo mondo?
L’interesse per il bondage è decisamente trasversale. Ai miei corsi ho incontrato persone di qualsiasi età, sesso e orientamento sessuale.
Quali caratteristiche bisogna avere per fare bondage?
Nessuna in particolare, se non curiosità e voglia di imparare, rispetto per se stessi e per il nostro partner di gioco e onestà sulle proprie capacità.
In una coppia, quali cambiamenti possono intervenire nel rapporto, praticando il bondage?
Partendo dall’idea che fare bondage sia una passione condivisa da entrambi, sicuramente la vicinanza che si crea, il dialogo sotterraneo e l’ascolto del partner, la cura che si ha nei suoi confronti e la fiducia che si esprime nel legare e farsi legare sono tutte attenzioni che esaltano e valorizzano il legame di coppia.
Il bondage parla al nostro cervello, al nostro cuore e ai nostri organi sessuali e può creare un’esperienza sessuale molto profonda.
Vi sono differenze concettuali e finalità differenti tra bondage, shibari e kinbaku?
Bondage significa “schiavitù” ed è un termine generico che comprende tutte le pratiche che determinano una costrizione, tra le quali vi sono anche le corde, ovvero il “rope bondage”. Oggi in Italia quando si parla di bondage si intende generalmente il bondage fatto con le corde, come anche io sto facendo in questo articolo, ma si può fare bondage in tanti modi diversi.
Shibari è un termine giapponese che significa genericamente “legatura”.
Kinbaku è una definizione più recente. Significa “nodi stretti, fatti come si deve” ed è una parola usata solamente in ambito erotico.
Shibari e kinbaku li possiamo considerare come sinonimi e sono i termini che indicano il bondage giapponese, che è anche lo stile al quale mi avvicino io.
Esistono poi altri grandi stili di bondage, come il bondage americano o quello fusion.
Se dovessi spiegare brevemente che cos’è il bondage – o più specificatamente quello che fai tu, il kinbaku – come lo racconteresti?
Nel kinbaku si usano le corde per immobilizzare una persona, ma lo scopo di questa pratica non è la semplice costrizione.
Le corde sono un mezzo di comunicazione, come lo possono essere le parole o i gesti. Attraverso le corde parliamo e ascoltiamo. È una comunicazione molto sottile in cui possiamo tirare fuori gli aspetti più intimi di noi stessi e che ci permette di parlare di cose di cui sarebbe difficile parlare a parole.
Si è due persone che condividono un atto di amore.
Dividi la tua vita tra la passione per le corde del kinbaku e quelle del violino, essendo anche un musicista professionista. Come è percepita la tua attività, diciamo, meno convenzionale, nell’ambiente lavorativo più tradizionale?
Non ho mai avuto nessun problema in altri ambiti lavorativi, tra cui quello musicale; alcuni miei colleghi si sono dimostrati più interessati e altri meno, ma non ho mai riscontrato reazioni negative.
Una recente ricerca del Centro di Sessuologia Integrata “Il Ponte” di Firenze ha rilevato come vi sia una netta maggioranza di donne che preferiscono essere legate, rispetto a quelle a cui piace esclusivamente legare il partner (2%).
Di contro, supera l’80% la percentuale di uomini a cui piace solo legare.
Che considerazioni potremmo trarre, anche in base al tuo punto di osservazione privilegiato?
L’iconografia del bondage giapponese o le immagini che troviamo su internet – anche relative alla pornografia – vede per lo più raffigurate donne legate e uomini che legano, quindi è probabile che, anche solo inconsciamente, il nostro immaginario possa subire una certa influenza.
Poi ci può essere anche un’influenza culturale data dagli stereotipi presenti nella nostra società, decisamente poco femminista, in cui l’uomo “deve essere” la parte dominante e attiva e in cui un uomo che si sottomette viene considerato debole.
Fortunatamente questo trend sta lentamente cambiando negli ultimi anni.
Premesso questo, va però fatta una considerazione importante: a prescindere dalle percentuali e dai gusti che ognuno ha, chi lega e chi viene legato ha pari valore e non c’è una parte più debole o meno importante.
C’è qualcosa che ti infastidisce nella comunicazione commerciale rispetto al bondage?
Purtroppo i media usano spesso il bondage per pubblicità, dalla moda alle news, e lo fanno in modo superficiale, spesso facendo leva su bigottismi e preconcetti.
Anche “Cinquanta sfumature” racconta una storia molto lontana dalla realtà di chi pratica il bondage, perpetrando i soliti stereotipi e legittimando comportamenti sbagliati e abusivi.
Fortunatamente la realtà di chi è veramente interessato è un’altra e ci sono un sacco di persone che praticano bondage in modo sicuro e rispettoso o che ne fanno una corretta divulgazione.